24 Marzo 2017
«È questo il fulcro, il cuore vero, delle celebrazioni per il bicentenario della nascita di Francesco De Sanctis. Muoviamo dalla sua terra natia, Morra, per giungere nella città capoluogo, passando per Sant’Angelo dei Lombardi. A modo nostro, ripercorriamo il suo Viaggio elettorale». Toni Iermano, professore di Letteratura italiana all’Università di Cassino e del Lazio meridionale, direttore della rivista «Studi Desanctisiani» e presidente del Comitato scientifico delle celebrazioni, presenta la tre giorni dedicata al grande intellettuale e politico irpino che da lunedì 27 a mercoledì 29 animerà il Castello Biondi Morra a Morra De Sanctis, il Centro sociale a Sant’Angelo dei Lombardi e il Teatro «Carlo Gesualdo» ad Avellino. I dettagli dell’iniziativa, con Iermano protagonista di tre lezioni magistrali (una al giorno) e la partecipazione di Gerardo Bianco, presidente del Comitato nazionale per le celebrazioni del Bicentenario, di Luigi Fiorentino, presidente del Centro di ricerca «Guido Dorso», e del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, saranno illustrati oggi alle 11 a Palazzo di Città. Ci saranno lo stesso Iermano e l’assessore comunale alla Cultura, Bruno Gambardella.
Iermano, «Francesco De Sanctis e il viaggio del ritorno» è il titolo e insieme il filo rosso di questi incontri.
«Sì, perché l’auspicio del Comitato è, principalmente, quello che finalmente la figura di De Sanctis torni al centro del dibattito politico e culturale. Purtroppo, negli anni è stato fatto un uso di De Sanctis così stonato che spesso s’è dimenticato che egli è stato uno dei più grandi intellettuali d’Italia. Adesso, l’intento è quello di celebrarlo in tutta la sua attualità, calandolo nella vita quotidiana. Le nostre non saranno mai mere commemorazioni».
Politica, Mezzogiorno, scuola: saranno questi i temi delle sue relazioni durante la tre giorni.
«Si tratta di temi tutti cari a De Sanctis. Ma quello che proverò a sottolineare è che c’è un doppio De Sanctis: quello oggetto di studio e di ricerca e quello che diventa occasione per pensare al Mezzogiorno, riflettere sulla funzione della scuola e ragionare sulle possibilità che le nuove generazioni hanno di cambiare la società contemporanea».
Dunque, attualizzare De Sanctis e il suo pensiero, rendendolo fruibile alle nuove generazioni. A tre mesi dall’avvio delle attività del Comitato, è possibile tracciare un primo bilancio?
«L’obiettivo che ci siamo preposti è ambizioso. Lo stiamo perseguendo anche attraverso forme e strumenti innovativi che sono più congeniali ai giovani. Quello che ci interessa è creare un’occasione concreta di valorizzazione sociale e cultuale, affrontando i veri problemi del Mezzogiorno e ricercando soluzioni. De Sanctis pose il problema delle forze dirigenti: oggi nel Mezzogiorno queste forze mancano oppure dove sono presenti non sono coerenti con l’idea di sviluppo, ma lavorano per la conservazione. Per invertire la rotta, serve una scossa in profondità».
Il vostro è un programma denso e molto articolato, approvato e condiviso dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali, che si sta sviluppando tra l’Irpinia e diverse università italiane e straniere. Quali sono i riscontri?
«Purtroppo, i motivi di ottimismo non sono molti perché stiamo impattando con una società in cui sostanzialmente non c’è nessuno che guida processi veri di trasformazione. Anzi, per dirla ancora con De Sanctis, le forze dirigenti frenano questi processi: sono loro i veri nemici del cambiamento».
Quello del Bicentenario è quasi esclusivamente un De Sanctis politico. A questi aspetti è dedicata anche la sua ultima pubblicazione affidata a Serra Editore, «Francesco De Sanctis. Scienza del vivente e politica della prassi», in libreria tra due settimane.
«Penso che sia necessario riconsiderare lo spessore politico dell’intellettuale di Morra. Egli fu tra i pochi che realmente riuscì a stabilire una relazione tra il proprio pensiero e la prassi. Allora, non per un fatto di generico qualunquismo, ma è doveroso riconoscere in ciò il vero cambiamento. Inoltre, mi piace ricordare De Sanctis come lui stesso si definì, ovvero un operaio di Gerusalemme. Bene, l’Italia di oggi avrebbe proprio bisogno di uomini del genere: di uomini che edificano città senza mura».
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